La
fabbrica MONTECATINI di PIANO D’ORTA
e l’impatto sull’agricoltura
LA
CAUSA CIVILE “DE POMPEIS BERNARDO” anno 1909 |
L’attività
dello stabilimento di Piano d’Orta, dato il tipo di produzione svolta (acidi,
perfosfati, antiparassitari ) ebbe inevitabilmente ripercussioni di tipo
ambientale: in tale ambito, nel primo decennio del Novecento, ebbe particolare
rilievo l’impatto sulla vegetazione e sulle colture dei fondi agricoli delle
zone limitrofe alla fabbrica.
A tal proposito il 03 giugno 1909 Bernardo De Pompeis, proprietario terriero di Torre dè Passeri, in rappresentanza del figlio Giuseppe, promosse dinanzi al Tribunale di Chieti, una causa civile contro la Società Italiana Prodotti Azotati per l’agricoltura. (SIPA)
Lo
stesso Tribunale, dopo aver dichiarato la propria competenza in merito alla
controversia, ordinò una perizia al fine di accertare l’esistenza dei danni
lamentati sul fondo rustico De Pompeis, indicandone la natura, l’estensione e
la progressività; di accertarne le cause, verificando la loro effettiva
dipendenza dalle esalazioni gassose dello stabilimento della società; di
determinare eventuali rimedi da adottare nel fondo e nello stabilimento; di
stabilire l’ammontare dei danni rifondibili dalla società in relazione alla
loro progressività, alla permanenza delle cause, al tempo necessario al
completo risanamento delle piante ed al ripristino della loro regolare
produttività, nonché il costo delle opere di prevenzione, riparazione e
risanamento.
I
tre periti nominati dal tribunale seguirono per due annate consecutive le
diverse fasi della vegetazione nel fondo De Pompeis, ed effettuarono visite
nello stabilimento, dove ricevettero dal Direttore le opportune delucidazioni
sui metodi di fabbricazione dei prodotti, sui sistemi adottati per evitare la
dispersione di gas nocivi alla vegetazione. ( e gli animali? ….gli esseri
umani?)
Da
tali ispezioni presso lo stabilimento di Piano d’Orta, i periti rilevarono la
presenza, nelle stesse officine della SIPA, di perdite di gas, quali l’acido
fluoridrico e l’anidride solforosa, ritenute inevitabili poiché fisiologiche
allo stesso processo chimico.
L’acido
fluoridrico si formava durante la preparazione di perfosfato, dal trattamento
dell’acido solforico con le fosforiti, a causa del fluoruro di calcio
contenuto nelle stesse. Dall’analisi delle fosforiti impiegate nello
stabilimento, dosando l’acido fluoridrico rilevato, i periti constatarono che
le quantità di fluoruro e cloruro di calcio riscontrate corrispondevano ai
valori prodotti dal fluoro nella norma.
Osservarono,
tuttavia, che nella preparazione effettiva del perfosfato, per quanto il
personale tecnico adoperasse tutti i mezzi idonei a fissare i gas di rifiuto, la
fuoriuscita e la dispersione dell’acido suddetto con gli altri prodotti della
combustione risultavano comunque inevitabili. Nel caso in questione si trattava
di un inconveniente tipico di tutte le preparazioni chimiche in scala, in cui il
funzionamento continuo dei macchinari non consentiva di ottenere il rendimento
teorico.
La
prova lampante della dispersione dell’acido era data dall’odore irritante e
penetrante, tipico del composto chimico in questione, che si avvertiva nei
pressi della vasca di lavaggi, in cui si effettuava il fissaggio del gas.
La
produzione di acido solforico, nelle officine di Piano d’Orta, avveniva
all’epoca per combinazione dell’anidride solforosa con l’ossigeno, secondo
il metodo catalitico o di contatto. La massa catalizzatrice utilizzata,
l’amianto platinato, presentava tuttavia degli inconvenienti, in quanto,
qualora i gas venuti a contatto non fossero stati perfettamente puri, non
avrebbe svolto un’azione durevole; inoltre, se la miscela gassosa di anidride
solforosa ed aria non fosse stata priva di pulviscolo o di tracce di arsenico,
tale massa avrebbe perso del tutto la propria funzionalità.
Anche
il processo di reazione richiedeva opportuni accorgimenti. Un innalzamento della
temperatura al di sopra dei 400°C avrebbe comportato il progressivo
rallentamento della formazione di anidride solforica, fino alla dissociazione
della stessa nuovamente in solforosa ed ossigeno, intorno alla soglia di 1.000°C.
Si
trattava di una eventualità frequentemente, o per lo meno facilmente
riscontrabile nella pratica, in quanto la stessa combinazione di anidride
solforica ed ossigeno avveniva a soglie di energia molto elevate: nella
fabbrica, infatti, i periti riscontrarono immediatamente la dispersione di
anidride solforosa nell’ambiente in cui si trovava il catalizzatore,
percependola in base al forte odore ed allo stimolo alla tosse da essa
tipicamente indotto.
Dalle
successive ispezioni sul fondo De Pompeis, confinante per una breve distanza con
una strada parallela al muro di cinta delle officine, si rilevava che le
alterazioni alla vegetazione, del tutto assenti nel primo tratto (nel punto più
distante dalla zona di confine con la fabbrica), apparivano più evidenti ed
eclatanti con il progressivo avvicinamento alle mura perimetrali dello
stabilimento.
La
piccola vigna prossima alla strada, dunque la più vicina alla fabbrica,
presentava le caratteristiche di uno sviluppo misero e strozzato.
Prendendo
in esame ciascun ceppo di vite, infatti, i periti riscontrarono segni di forte
deperimento: i tralci erano corti e sottili, le foglie avevano una superficie
laminare ridotta rispetto alle dimensioni normali, ed alcune di esse erano
atrofizzate , con margini arrotondati ed accartocciati; solo in alcuni casi,
tuttavia, si osservarono ustioni di maggiore gravità.
Esaminando
poi gli altri filari, notarono che, allontanandosi dalla strada di confine, tali
caratteristiche patologiche si attenuavano, pur permanendo lo stato di decadenza
fisiologica della pianta; procedendo nelle ispezioni, si notava
inoltre che i terreni, sia di tipo seminativo, sia incolti, nelle
immediate adiacenze della vigna, erano caratterizzati da una vegetazione
arsiccia e rada.
Anche
la seconda vigna, successiva a tali terreni, presentava uno sviluppo non
uniforme: i ceppi prossimi alle porzioni di campo incolto e seminativo erano
piuttosto miseri e avvizziti, mentre quelli susseguenti più floridi e
rigogliosi.
Tali
osservazioni dunque indussero i periti a concludere che si trattava di
un’evidente gradazione di danni che, si manifestavano più visibili e lampanti
nella prima vigna più vicina alla fabbrica, si attenuavano nel terreno
seminativo e si riducevano ulteriormente nella seconda vigna.
La
causa diretta di tali danni erano le emanazioni gassose dello stabilimento: più
concentrate, e dunque maggiormente nocive per la vegetazione, nelle immediate
vicinanze del camino d’emissione, gradualmente meno intense via via che si
espandevano, diluendosi, nell’aria.
Le
considerazioni finali riportate nella relazione della perizia concludevano,
pertanto, che le proprietà limitrofe al fondo De Pompeis presentavano una
vegetazione dallo sviluppo normale, in quanto il vento di levante che soffiava
sullo stabilimento e sui terreni, carico di umidità, trasportava i fumi ed i
gas che emanavano dalle officine secondo una direzione fissa e costante,
circoscrivendo in tal modo le conseguenze negative ad una zona limitata.
I
danni, dunque, data la loro diversa intensità in relazione alla distanza, non
dipendevano da mancanza di cure e da cattiva qualità della coltivazione, bensì
dall’effetto deleterio delle esalazioni gassose provenienti dalle officine,
dapprima più efficaci e velenose, progressivamente poi meno lesive, fino a
diventare innocue.
La
mancanza di infezioni peronosporiche, inoltre, confermava, pur se in modo
indiretto, la presenza di gas nocivi per la vegetazione¸ tale tesi fu
ulteriormente avvalorata, infine, dagli esiti dell’esame
microscopico-microchimico cui furono sottoposte le foglie raccolte dalle vigne
danneggiate, al fine di riscontrare la presenza di acido solforico: immergendo
le sezioni di tale foglie in una soluzione acquosa concentrata tinta di rosso, i
tessuti ustionati della pianta assumevano un colore azzurrognolo, attestando
l’esistenza di acido solforoso e solforico.
I danni provocati dai gas velenosi, sul fondo rustico del De Pompeis, erano limitati ad una zona dell’estensione totale di Mq. 56.310, e consistevanonel parziale arresto della vegetazione, e del conseguente incompleto sviluppo delle piante, con la riduzione della loro vita produttiva.
Le cause di tali fenomeni, ossia la dispersione di gas nocivi come
l’anidride solforosa e l’acido fluoridrico, potevano aver origine
esclusivamente nelle officine della SIPA, in cui avveniva la fabbricazione di
acido solforico e di perfosfato: nelle zone limitrofe, infatti, non sorgevano
altre fabbriche di prodotti chimici.
Nello stabilimento della SIPA, tuttavia, non
erano necessarie modifiche di alcun
genere, poiché i sistemi adottati per la fabbricazione più progredita, e le
perdite di gas rilevate erano, pertanto, inevitabili, occasionali e non
prevenibili.
Sulla
base degli esiti della perizia, il Tribunale di Chieti condannava la SIPA a
corrispondere al De Pompeis, come indennità per i danni a questi provocati, la
somma di Lire 38.843,25 , oltre i relativi interessi.
Lo SPORT e l'inquinamento a Piano d'Orta anno 1950 |
Nel campionato 1950 - 1951 , il Piano d'Orta vinse giocando in casa, sul Campo Montecatini, con la squadra del Tagliacozzo per 8- 0.
I dirigenti del Tagliacozzo imputarono la sconfitta così disastrosa all'inquinamento dell'aria. Infatti durante la partita i giocatori soffrirono molto la fuoriuscita dei gas tossici provenienti dalla vicinissima fabbrica (bruciore agli occhi e difficoltà respiratorie).