Claudio Sarmiento

 

 

csarmie@libero.it

 

 

Un fantasma

nella valle

 

 

breve passeggiata

tra le immaginazioni della Storia

e

la realtà delle Fiabe

 

 

Un fantasma nella valle è un romanzo breve che, come si evince dal sottotitolo, miscela realtà, storia e fantasia per dar vita ad un racconto che ha come veri protagonisti la valle dell’Orta ed il “fantasma” che vi alberga…di chi si tratta? Non dovrei anticiparvelo, ma oggi mi sento ciarliero… Si tratta della mitica lontra, il simpaticissimo mustelide, a rischio di estinzione, che qui sembrerebbe aver scelto uno dei siti per provare a riprodursi. Dico sembrerebbe, perché da quando il compianto Paolo Barrasso scoprì e fotografò nei pressi del fiume l’orma di una lontra, tutti i successivi appostamenti per vederne qualche esemplare sono risultati vani. Vuol dire allora che la lontra non abita da queste parti? Non scherziamo! La lontra c’è, e nel racconto Simone e Serena, indubitabilmente, riescono a contattarla….

 

Il racconto si compone di sei brevi capitoli:  

 

1)ANTEFATTO

 

2)LA RICERCA

 

3)L’INCONTRO

 

4)LA GUIDA

 

5)IL SALUTO

 

6)ALTRO CHE NOTE!

 

Qui di seguito vi presento uno stralcio, per l’esattezza le prime tre pagine, del secondo capitolo: “La ricerca”.

Chiunque avesse interesse ad approfondire, può contattarmi al seguente indirizzo:

csarmie@libero.it

 

La ricerca

 

“Senza timore, e senza alcuna fretta

verrò a cercarti lì, o mia diletta.”

 

“Il primo tu non sei che qui ci prova,

però non sempre, poi, chi cerca trova.”

 

Calzoncini alle ginocchia, magliette a mezze maniche, cappelli in testa, ai piedi scarpe di pezza adatte sia per camminare sulla ghiaia sia per guadare il fiume ogni volta che ce ne sarà bisogno, zaino in spalla con panini e acqua; è così che Simone e Serena si apprestano ad affrontare questo sabato assolato di fine giugno.

Ultime raccomandazioni dei genitori, solenni giuramenti dei ragazzi, dopodiché in sella sulle bici e via!

Da Piano d’Orta, imboccando la strada brecciata che si incontra dopo aver raggiunto in pochissimi minuti la piccola contrada di Uscesi, si percorre appena un chilometro per arrivare ai piedi del colle San Bartolomeo, perennemente immersi nelle acque del fiume Orta, che proprio in quel punto termina il suo viaggio dentro la valle e si apre all’ultimo suo tratto prima di tuffarsi nel Pescara.

Panta rei, d’accordo; tutto scorre, e più d’ogni altra cosa scorre ininterrottamente l’acqua di un fiume. Ma c’è scorrere e scorrere: si può scorrere senza rimpiangere ciò che ci si lascia alle spalle, ad esempio, oppure addirittura utilizzando lo scorrere come fuga.

Ai piedi del colle San Bartolomeo perennemente immersi nelle acque del fiume Orta, invece, se vi fermate un attimo ed accostate l’orecchio alla corrente leggera, potete ascoltare distintamente un cicaleccio allegro; ogni goccia d’acqua, scorrendo, scambia con le vicine tutte le meravigliose sensazioni provate durante il percorso dentro la valle. Ed ogni goccia vuole raccontare la sua: quella strettoia fra le rocce, quel salto improvviso, quella placida ripresa prima di una nuova piccola cascata, quel masso contro il quale divertirsi a spumeggiare prima di aggirarlo e continuare.

Qui, ai piedi del colle San Bartolomeo perennemente immersi nelle acque del fiume Orta, ogni goccia capisce che il meraviglioso viaggio volge al termine. Ogni goccia sa che non è possibile tornare indietro e ripetere l’esperienza, ma non ne fa un dramma; continua a scorrere finché le sarà concesso, consapevole della propria importanza.

Lo sciacquettio soffuso prodotto dall’eterno pediluvio del colle San Bartolomeo accoglie l’arrivo di Simone e Serena, i quali con una catena assicurano le bici ad un albero e, senza perdere tempo, si avviano lungo il sentiero che in breve li porterà al fiume.

Si fa presto a dire sentiero. I passi veloci dei due ragazzi stanno calcando pietre particolari, reduci ostinate di un tracciato antico, la cui remota esistenza si riesce facilmente ad immaginare quando, percorrendolo,  si arriva al fiume e ci si trova al cospetto dei pochi ma eloquenti resti, anch’essi in pietra, di un ponte romano; quante cose possono raccontare le pietre, ingiustamente assurte a metafora di insensibilità e di durezza d’animo. Le pietre parlano, sempre che le si voglia ascoltare, con la loro forma, con il loro colore e con mille altri segnali. Su di una pietra liscia, levigata, ovalizzata, a volte bianca come la neve, probabilmente si possono leggere secoli e secoli di lavoro svolto dall’acqua e dal vento, elementi privi di geometria propria ma sublimi nella loro capacità di dare geometria alle cose che da essi si lasciano accarezzare, pettinare, disegnare: montagne, rocce o massi che siano. Una pietra, d’altra parte, può anche essere l’insolita “tela” su cui una conchiglia, ad esempio, un milioncino di anni fa ha deciso di imprimersi facendosi pietra essa stessa, usando il tempo con infinita pazienza fino a fossilizzarsi. O ancora, sotto i colpi sapienti dell’uomo neolitico, una pietra ha potuto assumere le sembianze e le funzioni di pugnale, di lancia, di lama, di arnese, di utensile, aiutando la nostra specie nel lento procedere verso il dominio terrestre.

Ma torniamo alle pietre del ponte romano dove abbiamo lasciato Simone e Serena, o meglio ai resti di due pilastri fatti di blocchi squadrati, di piccole e medie dimensioni, così come erano abituati a lavorarli gli antichi romani.

Anche se in tante precedenti occasioni i nostri ragazzi hanno già visto ciò che rimane del ponte, ancora una volta si soffermano a guardarlo ed ancora una volta si divertono a pensarlo intero, con i suoi due archi poggianti su tre pilastri. Siccome molto spesso hanno sentito parlare di questo argomento, sanno che probabilmente il ponte era uno di quelli esistenti lungo una strada romana di collegamento che, deviando dalla vicinissima Claudia Valeria, conduceva forse fino alla zona di Luco dopo aver attraversato gran parte della vallata dell’Orta congiungendone i due opposti versanti.

E’ facile immaginare il ponte quasi come un baluardo della valle, posto di agevole controllo al transito delle persone e delle merci; d’altra parte appare fuor di dubbio il fatto che successivamente i Longobardi, a lungo dominatori del territorio, molto presenti e particolarmente attivi da Caramanico fino a Fara Ambrillae, nei pressi dell’attuale contrada Fara di Piano d’Orta che ancora ne conserva il toponimo, abbiano utilizzato questi posti strategici come  veri e propri punti di dogana.

 

…”Ehi! Chi siete?”

“Siamo due che…”

“Cosa fate, cosa portate?”

“Niente, roba…”

“Si, ma quanti siete?”

“Due: siamo io e lui, dietro non c’è…”

“Un fiorino!”

“Si paga?”

“Un fiorino!” (1)

 

Ed ancora più tardi, chissà quante volte gli abati dell’Abbazia di San Clemente, edificata a due passi da qui  nella località Casaurea dell’Insula de Piscaria, dall’altra parte della Claudia Valeria e del fiume Pescara, hanno attraversato questo ponte per raggiungere i possedimenti a Beloniano o a Mosellule. Da Romano a Beato, da Ittone ad Alpario, da Ilderico ad Adamo, da Guido a Domenico, da Trasmondo a Giovanni, da Gilberto a Grimoaldo, da Gisone ad Oldrio, fino a Leonate ed a Joele, durante le incursioni saracene e del normanno Malmozzetto, oppure nei periodi alterni di protezione interessata o di inimicizia da parte degli imperatori del tempo, o ancora nel corso delle opere di fortificazione dei borghi della zona sottoposta alla giurisdizione dell’Abbazia, così come durante le ricostruzioni e gli ampliamenti dopo i saccheggi ed i terremoti, o mentre Papa Urbano III reclutava i crociati nella vicina Teate, chissà quanti andirivieni indaffarati anche lungo questa strada e sopra questo ponte; nobili e prelati a cavallo, muli carichi di ogni cosa, soldati e gendarmi sempre pronti a ricevere ordini e ad eseguirli.

Oggi, a mille e più anni di distanza, in una calda mattinata di fine giugno, Simone e Serena si divertono a schizzarsi addosso l’acqua fresca del fiume Orta che lambisce le pietre dell’antico ponte.

Ancora oggi, però, respirando profondamente, oltre che con i polmoni per immagazzinare ossigeno, anche con il pensiero per fare il pieno di fantasia, si riesce a vedere nello specchio di quest’acqua lo scorrere delle stupende pagine del Chronicon Casauriense, che tanto si sono riempite con gli avvenimenti e le vicissitudini di questi luoghi.

Ma il ponte è ormai alle spalle di Simone e Serena i quali, risalendo il fiume, si addentrano nella valle che si apre alta e fiera davanti a loro.

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(1)                Dal film “Non ci resta che piangere” di Massimo Troisi e Roberto Benigni